martedì 27 ottobre 2009

Mekong Delta


Dopo venti giorni in Cambogia ci sembra arrivato il momento di passare il confine: il Vietnam ci attende. Da Phnom Pehn un bus ci porta a Neak Luong dove una barca in legno molto spartana ma colorata ci porta al confine. Scendiamo sulla terraferma per il timbro d'uscita cambogiano e quello d'entrata vietnamita. Al controllo passaporti non c'è che un ufficiale sonnolento che svogliatamente adorna in nostri passaporti con altri timbri sbavati. In Vietnam cambiamo imbarcazione e inizia il consueto acquazzone: la stagione delle piogge volge al termine. Approdiamo a Chau Doc, primo centro vietnamita dopo il confine e, dopo aver lasciato gli zaini in hotel, esploriamo il mercato locale. Pesce, carne, frutta e verdure, cappelli a punta, donne in carne e bambini. Abbracciati a due ragazzi vietnamiti, ci facciamo portare in motorino in cima al monte Sam. Ho, uno dei due ragazzi, ha la nostra età ma è sposato ed ha una figlia; ci mostra una foto della sua famiglia. Dall'alto del monte ci indica la Cambogia al di là del fiume, anche se lui, lì, non ci è mai stato. Il tramonto si avvicina, si accendono le luci; penso a quante volte Ho avrà portato qui la sua famiglia di domenica ad ammirare questo spettacolo. Ma Ho dice che non lo ha mai fatto. Il giorno seguente sveglia presto e, ancora una volta, una barchetta ci svela i segreti del Mekong. Il fiume è punteggiato da palafitte in legno o raramente in muratura. Ci fermiamo in un villaggio Cham, una minoranza etnica musulmana, risalente ai tempi dell'impero Champa schiacciato ad est dal Vietnam e ad ovest dal Siam. Le donne lavorano creando indumenti di tessuti coloratissimi mentre i bambini giocano a rincorrersi sui precari ponti di legno che collegano le palafitte. Anche il villaggio seguente, abitato da pescatori, è sul fiume. Ci sono gabbie subacquee per allevare i pesci che vengono poi venduti o utilizzati per produrre la famosa salsa di pesce, condimento onnipresente della cucina locale. Il pesce viene lasciato a macerare a lungo: l'odore è forte e ci accompagnerà per tutto il viaggio. Ripartiamo alla volta di Can Tho dove siamo accolti da Hun, il padre della famiglia che ci ospiterà per la notte. Un'ora di barca e arriviamo nel suo villaggio sperduto nel mezzo della foresta. La famiglia è numerosa, contiamo almeno quattro figli. La nostra stanza è modesta ma pulita e la casa è una delle poche del villaggio in muratura. Dopo un pranzo a base di pesce gatto in salsa di pesce e riso, ci avventuriamo tra le case. Moltissimi bambini ci salutano, ci sorridono e si mettono in posa per una foto. Nell'unico “bar” del posto, in cui entriamo per bere qualcosa, è riunito un gruppo di anziani raccolti intorno a due tavole imbandite. Ci invitano a unirci a loro, ci offrono da bere e da mangiare nei loro piatti e bicchieri che vengono costantemente riempiti di liquore di riso e bevuti a metà da due persone. Nessuno parla inglese, tranne un signore che lavorò per gli americani ai tempi della guerra; ci spiega che è la festa degli anziani del loro circolo, o qualcosa del genere. Dopo quest'accoglienza davvero calorosa e inaspettata ricominciamo a girovagare nella direzione opposta. Stavolta tre uomini ci invitano a casa loro per condividere la cena appena servita a base di lumache, salsa piccante e arance fresche. Il nostro vietnamita è limitatissimo così come il loro inglese, ma ci capiamo. È impossibile rifiutare il cibo e quindi assaggiamo le lumache, praticamente imboccati da loro: non sono poi così male. Il cielo si rannuvola velocemente e ci consigliano di tornare a casa. Come al solito, piove. Il figlio più grande ci aiuta a leggere il vietnamita da un frasario trovato in casa. La mamma cucina, un bimbo di sei anni guarda il video di una canzone pop in dvd e canta. Il più piccolo ci segue in camera, giochiamo a saltare sul letto. Poi è la volta del tredicenne, che parla un po' l'inglese: lo impara a scuola, ci dice. Ci porta in cortile, con un machete taglia delle canne di bambù. Sotto i nostri occhi le taglia in lunghezza, le unisce con degli elastici e forma una stella tridimensionale che verrà ricoperta con carta colorata ed illuminata per il festival delle luci. A cena la tavola è imbandita con pesce, involtini primavera freschi, verdure e l'immancabile riso. Hun torna a casa e gli chiediamo se è possibile visitare una risaia ma scopriamo che i campi circostanti sono stati riconvertiti alla coltivazione delle angurie, molto più redditizie. Dopo cena, stanchi, ci addormentiamo brevemente: alle 4 di mattina siamo nuovamente sul Mekong diretti al mercato galleggiante Cai Rang. L'aria fresca e i colori dell'alba risvegliano i nostri sensi e finalmente arriviamo a destinazione. Il mercato, a differenza di altri, non è ad uso turistico ma per la gente del posto. Grandi quantità di frutta e verdura galleggiano sulle barche in legno e l'acquisto minimo è 10 kg. Facciamo colazione con il pho, una zuppa di spaghetti di riso, verdure, carne, fegato. La signora che lo vende, anche lei da una barca, sciacqua le ciotole nel fiume prima di riempirle. Ormai è tardi per preoccuparsi dei batteri e quindi mangiamo lo stesso, abbiamo fame. Il legame della gente con il Mekong è evidente in ogni momento della giornata: le sue acque torbide vengono usate per lavarsi, cucinare, pescare, scaricare rifiuti e liquami. La sussistenza delle persone dipende da questo gigante che si ingrossa a suo piacimento. Ancora una volta, piove. Hun, alla guida della barca, si infila in un canale invaso dalle piante e dobbiamo tornare indietro. Mentre attendiamo la fine dell'acquazzone, visitiamo una fabbrica di spaghetti di riso. Questo, lasciato a macerare e unito alla tapioca, viene trasformato in dischi di pasta sottilissimi e semitrasparenti, lasciati a seccare su sostegni di fibre intrecciate. Infine, una macchina taglia i dischi in strisce e gli spaghetti sono pronti per il mercato locale. Lasciamo il Mekong alle spalle, ma non a malincuore: sappiamo che lo incontreremo nuovamente sul nostro cammino.

2 commenti:

  1. Vi seguo e vi penso spesso!!un abbraccio forte e non stancatevi mai di scoprire, cercare, trovare e di lasciarvi trasportare wherever you can follow...a big hug! Marina

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  2. ciao marina! Seguiremo sicuramente il tuo consiglio...speriamo che anche tu riesca a fare lo stesso! Un abbraccio forte da me e valerio, a presto

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